Scream Queens: quando l’autoironia è la maschera del narcisismo – Recensione

Scream Queens: quando l’autoironia è la maschera del narcisismo – Recensione

Scream Queens è nuova serie antologica di genere horror con protagonista Emma Roberts nata dalla vena (sempre meno) creativa di Brad Falchuck e Ryan Murphy e prodotta dalla FOX. Se questa presentazione suona familiare è perchè Scream Queens prende le mosse dal suo progenitore televisivo American Horror Story terza stagione, Coven.
La serie è ambientata in una sorority americana (una confraternita universitaria tutta al femminile), Kappa Kappa Tau, governata, in un regime di terrore matriarcale, dalla sua “bitch queen”, Chanel (Emma Roberts). Quando questa e il suo comportamento da primadonna ricca e viziata diventano intollerabili e pericolosi, la Preside (Jamie Lee Curtis) crea una nuova regola per cui la confraternita e la sua regina sono costrette ad accettare tra le proprie fila chiunque voglia iscriversi.
La scena del reclutamento delle adepte ricorda in maniera grottesca quella dell’autocitazione tarantiniana di Pulp Fiction, in cui Mia (Uma Thurman) nomina per la prima volta le leggendarie killer diventate poi protagoniste di Kill Bill. L’unica differenza è che, invece di avere il gruppo di assassine più memorabili della storia del cinema, abbiamo qui una sfilata di “freaks” che fa il verso a quella Coven e dove minoranze etniche, biondine slavate e deformità fisiche, ancora una volta, fanno da padrone. Non si può negare però che Murphy e Falchuck, come Quentin Tarantino, del resto, siano maestri nel citare e autocitarsi.
Scream Queens, infatti, attinge a piene mani da un immaginario pop datato anni ’80, rimescolandolo in una “salsa teen” e un’estetica da nuovo millennio che, ancora una volta, scopiazza lo stile minimale di Coven. Il titolo stesso è un omaggio alle “scream queens”, quelle attrici diventate famose per i loro molteplici ruoli nei film dell’orrore. L’esercizio di stile si spinge addirittura fino a ingaggiare una delle iconiche “regine” nella persona di Jamie Lee Curtis, la quale sostituisce qui la Jessica Lange di AHS nella parte della tardona virtuosa. Sfortunatamente, però, nè il talento della Curtis nè il ruolo affidatole sono paragonabili alla performance attoriale della Lange, fattori questi che rendono vano anche questo ennesimo sforzo stilistico.
Ancora più che di un omaggio, però, Scream Queens ha i tratti di una parodia. La piega comica della serie è evidente e quasi sempre volontaria, anche se frivolamente critica. La serie prende in giro il whitewash dell’educazione collegiale americana, fa sfoggio di crudeltà nei confronti dei millenials e la loro pop culture mainstream e dipendente dai social network, ammicca beffardamente al gore e al trash dei teen horror.
Al tempo stesso però Scream Queens nei vuoti stereotipi di genere e nei riferimenti pop ci sguazza. Dalla colonna sonora (che conta Taylor Swift e estratti dal soundtrack di Twilight), al cast (tra cui primeggiano attori e celebrità di serie B della levatura di Nick Jonas, Ariana Grande e Lea Michele), tutto in Scream Queens è pensato per sedurre un publico adolescenziale e, verosimilmente, poco attento alla sostanza.
Finalmente, dopo gli interminabili 84 minuti delle prime due puntate la serie si rivela però per quello che realmente è: troppo concentrata su se stessa, Scream Queens risulta a un occhio esperto un prodotto falso, sopravvalutato e narcisistico come i suoi protagonisti. Bulimico di contenuti e vanesio nella narrazione, l’ultimo lavoro di Falchuck e Murphy è la serie da cui tutti gli amanti della TV americana dovrebbero tenersi alla larga.

 

Mariaclaudia Carella

 

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