The Green Inferno: i cannibali sono tornati, il vero horror no – Recensione

The Green Inferno: i cannibali sono tornati, il vero horror no – Recensione

Da qualche giorno potete trovare nelle sale il nuovo film di quel genio del male di Eli Roth, The Green Inferno.

Annunciato come una cataclisma divino, come uno dei film più violenti degli ultimi anni, come generatore di malessere, nausea, svenimenti, conversione istantanea al veganesimo e di una profonda avversione per tutto quello che ha a che fare con il Sudamerica e i suoi abitanti, è diventato nel corso delle settimane che hanno preceduto la sua uscita (in Italia il 24 settembre) un appuntamento attesissimo e fonte di grandi aspettative.

Eli Roth, classe 1972, pupillo di Quentin Tarantino (vi ricordate dell’Orso Bruno di Bastardi senza gloria? Ebbene sì, è proprio lui), specializzato in tutto ciò che è in grado di far rivoltare lo stomaco sul grande schermo, cultore dello splatter e dell’horror italiano, porta a casa questo Cannibal Movie, rispolverando un genere cult del cinema italiano degli anni Settanta/ Ottanta.

Seguendo la scia di Ruggero Deodato e Umberto Lenzi, Roth ambienta il suo nuovo film nella foresta amazzonica, dove segue un gruppo di giovani attivisti dalle intenzioni più o meno sincere in una loro missione per sventare il deforestamento selvaggio.

Affamati di gloria, di visibilità e colpevoli dell’arroganza propria del mondo civilizzato che ogni buon autore di genere sa come punire, i ragazzi (tipici esempi della twitter generation, quella della rivoluzione in 140 caratteri), finiscono, a causa di un incidente aereo, nella zona più remota della foresta, quella che nessuno di noi vorrebbe visitare, popolata da giaguari, tarantole, serpenti e cannibali.

L’incontro tra i giovani paladini della foresta e la foresta stessa non avviene in maniera indolore, almeno per i primi (e per il pubblico).

Dopo un prima parte del film in cui il regista ci induce col suo noto cinismo e gusto dissacrante a sviluppare una certa antipatia per il gruppo di attivisti e una discreta empatia per la protagonista Justine (l’attrice Lorenza Izzo, moglie del regista), veniamo catapultati in un banchetto orrendo a base di carne fresca made in U.S.A..

Le scene splatter non ci deludono, si vede tutto e si vede chiaro: mutilazioni, scotennamenti, sangue che cola, urla, lacrime e decine di selvaggi affamati, precipitando inesorabilmente nel trash quando gli indigeni in fame chimica azzannano uno dei personaggi, mangiandolo vivo e ridacchiando come un gruppo di collegiali alle prese con pacco di patatine.

La telecamera “a spalla” e lo stile che cita il documentarismo contribuiscono a rendere l’esperienza di The Green Inferno decisamente coinvolgente. Ma fino a che punto?

Il gusto dell’orrido trova qui decisamente il suo spazio e i cultori del genere possono trarre soddisfazione in diversi punti, ma quanto pesano le scivolate trash e, ancora di più il finale positivo/mascherato da finale negativo con la corruzione della protagonista che nasce come pura e candida per poi diventare anche lei cinica e spietata?

Un finale un po’ pasticciato, insomma, da cui si evincono alcune conclusioni: Eli Roth fa il cattivo, ma poi alla fine forse tanto badass non è (quando vedremo un horror in cui i personaggi non vengono decimati in un ordine così prevedibile?) e quando gira i film si diverte da morire (ma forse anche un po’ troppo, basti vedere una delle ultime sequenze, che cita il classico espediente della sequenza onirica per confondere lo spettatore, ma genera soltanto risate imbarazzate).

Abbandonate le aspettative del vedere un film ben costruito, insomma, non mangiate carne rossa subito prima o subito dopo lo spettacolo, cercate di non storcere il naso davanti alle esagerazioni (non vi aspettavate davvero Cannibal Holocaust?), abbandonatevi alla mattanza e godetevi l’all-you-can-it grottesco di Roth, attendendo il prossimo film nella speranza che ci regali altre piccole perle di sado-trash.

Stay Hungry, Stay Foolish.

Francesca Torre

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