American Horror Story: Hotel, quel pasticcio rococò [Recensione]

American Horror Story: Hotel, quel pasticcio rococò [Recensione]

Il 13 gennaio è andata in onda negli USA l’ultima puntata di American Horror Story: Hotel, chiudendo le porte dell’albergo più inquietante degli ultimi anni di fiction.

Parlare di questa stagione di AHS non è semplice, perché si attraversano fasi molto diverse durante la visione delle puntate.

Abbiamo avuto un inizio buono, nella puntata-panoramica di presentazione dei personaggi. Elegante nel suo essere kitsch, tutto oro e nero, un manierismo art decò esagerato ma armonioso. Tra i volti più o meno noti, più o meno riconoscibili, una grande novità: la postar Lady Gaga che indossa gli sfarzosi panni niente di meno che della protagonista la bella (?), affascinante (?), ben vestita Contessa, padrona indiscussa e indiscutibile dell’Hotel. Attorno a lei (per fortuna) il solito cast che dal 2011 rende AHS comunque degno di essere guardato.

Sarah Paulson con il suo sguardo spaurito è Sally, a sto giro in versione aggressive anni Novanta. Una sorta di fantasma di Kurt Cobain al femminile o di Courtney Love ma meno bamboleggiante.

La grandissima Kathy Bates è Iris, sempre più fragile e tremante. In Hotel  la Bates è una madre frustrata e maltrattata dal figlio ex tossico, l’emotivamente dipendente toy boy della Contessa,   Donovan (Matt Bomer).

Evan Peters smette i panni del Lobster Boy di Freak Show per indossare quelli di James Patrick March, una macchietta sanguinaria e cerimoniosa con dei baffetti discutibili, proprietario dell’Hotel e maestro di cerimonie di una carneficina insensata, prolungata nel corso dei decenni.

Liz Taylor, il personaggio più riuscito della stagione (e forse uno dei migliori di tutta la serie) è impersonato dal bravissimo Denis O’Hare che dà vita ad un dolcissimo travestito vibrante di emozioni e di intenzioni nobili (perseguite con mezzi moralmente elastici) mosso da un’interessante storia personale. Paradossalmente il personaggio che dovrebbe cammuffare più degli altri la sua natura, si scopre essere il più autentico e credibile di tutti, un vero motore di ogni spinta positiva e aggregante di un disordinato mosaico di presenze oscure.

 

Infine c’è Angela BassetRamona Royale, una diva dei B-Movie anni Settanta, simpatica, ma che alla lunga finisce per diventare lo stereotipo della nera splendida e spietata del ghetto.

Ci sono due filoni narrativi, intrecciati in modo un po’ forzato tra loro: da una parte la storia della Contessa-Gaga e dei suoi amori, del suo erotismo morboso e del suo ancor più morboso spirito materno che la porta a creare un futuristico asilo per piccoli vampiri sottratti al mondo per un suo bizzarro senso di giustizia, dall’altra abbiamo la storia del Killer dei Dieci Comandamenti (già visto in Se7en) che punisce  cattivi con metodi poco ortodossi, spinto da uno spirito legalitario e garante dell’ordine (già visto in Dexter).

Il personaggio di John Lowe (Wes Bentley) si districa tra le due storie ricoprendo un ruolo centrale nella seconda e riconducendola alla prima (confusi? beh è così che ci si sente quando c’è troppa carne al fuoco).

Che dire, anche quando Ryan Murphy e  Brad Falchuk, gli ideatori della serie, hanno mischiato un ospedale psichiatrico ad un’invasione aliena (in Asylum, seconda stagione),  si sarebbe potuto gridare all’eccesso, ma proprio in quel caso la sensazione era diversa. Nella quinta stagione si ricerca una coerenza narrativa talmente fuori luogo da risultare forzata, dei colpi di scena così preparati da diventare davvero inutili. Compaiono personaggi e sottotrame così repentini da indurre lo spettatore a pensare ad un’opera corale in cui ogni voce tenta di sovrastare le altre, dando vita ad una sinfonia debole e stonata.

Non si guarda American Horror Story con pretese di cinema raffinato, anzi. Il trash, tuttavia, bisogna saper renderlo divertente, raccapricciante, l’erotismo conturbante o disturbante, così come si era riuscito nelle altre stagioni della serie. Questa volta purtroppo il centro non è stato colpito e le sbavature sono tante.

Il format rende comunque Hotel una serie godibile e le novità introdotte (un particolare gusto per gli abiti e per il glamour, oltre che l’ambientazione contemporanea) non dispiacciono, ma la serie ha perso decisamente di mordente e ci porta a rimpiangere la grazia di Jessica Lange faticosamente sostituta dalla superstar Germanotta.

Il talento attoriale che aveva rappresentato per la serie il motore principale del suo successo, stenta qua in una fissità espressiva che irrita l’occhio di chi guarda (si parla non solo di Lady Gaga ma anche di Wes Bentley, che sono sostanzialmente i due protagonisti):  se l’attenzione gira tutta attorno a due volti, è tanto chiedere che i muscoli facciali sappiano muoversi? Possiamo mai guardare per dodici puntate solo sguardi languidi e espressioni da folle?

Fantasmi, vampiri e assassini. Assassini vampiri, fantasmi assassini, assassini innamorati, fantasmi innamorati, vampiri innamorati. Un carnevale mal riuscito, un pasticcio rococò in cui il troppo non basta mai, ma senza alcun cenno di entusiasmo. Il tutto con abiti fantastici.

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Francesca Torre 

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