Crimson Peak: la manchevole estetica di Guillermo Del Toro – Recensione

Crimson Peak: la manchevole estetica di Guillermo Del Toro – Recensione

 

Le prime battute di quest’ultimo film di Guillermo del Toro sono promettenti. Il sipario cinematografico si alza e ci troviamo proiettati in una realtà gotica, in una Buffalo, NY, dell’inizio del XX secolo con elementi fantastici, fantomatiche presenze e un ritmo vorticante.
Anche e soprattutto, colpisce un cast del tutto rispettabile. Ricorrono tra gli attori, Mia Wasikowska la reginetta consacrata del cinema in costume (Jane Eyre, Madame Bovary, Albert Nobbs ma anche Alice in Wonderland di Tim Burton), Tom Hiddleston con il suo viso spigoloso preso in prestito da un’altra era, e Jessica Chastain, che cavalca il successo di film impegnati (Interstellar, Zero Dark Thirty). Torna anche al cinema, il nuovo attore feticcio di del Toro, Charlie Hunnam (Pacific Rim, Sons of Anarchy) con il suo “finto”, ma collaudato accento americano. Il cast è scelto da qualcuno che ama gli stereotipi, e appare subito convincente in una macabra e tesissima atmosfera di classico dell’orrore.
È un peccato, però, che da queste allettanti premesse, il film precipiti, nei più bassi abissi della banalità filmica. Il problema più grosso del film di del Toro è la totale assenza di un corpo di trama, di un filo logico, che leghi a doppio filo una sequenza di scene ripetitive e francamente noiose. Crimson Peak è un film che nei clichè di genere si trova a suo agio, citandoli qua e là, facendoli propri e emancipandosene per poi, infine, perdersi completamente in una narrazione priva di identità e senso.

 

La storia narra delle vicende di Edith, scrittrice ossessionata dalle visioni del fantasma della madre che la ragazza riporta anche nei suoi romanzi. Dopo aver perso anche il padre in maniera tragica, si lega a uno straniero, un misterioso inglese estrattore di argilla rossa. Insieme alla sorella di lui, la giovane si trasferisce nella terra natia del novello sposo per seguire l’impresa del marito. È proprio quando la storia si sposta dalla suggestiva e pittoresca città americana alla desolatissima campagna inglese, che il film inaridisce.
Quella che era apparso essere un horror ansiogeno, si rivela essere l’ennesima, lasciva e banale, variazione su tema mistery romance. La cosa peggiore è infatti il tentativo, pigro e lacunoso, del film di cotruire una certa tensione intorno al mistero della figura dei due fratelli britannici e del loro passato che risulta solamente in una caratterizzazione confusa di personaggi monodimensionali.
Per questa ragione, il giudizio generale sul film nella sua interezza non può che essere impietoso. La pellicola di del Toro insegna che non bastano le facce cerate di attori estremamente dotati a fare un fim, nè è sufficiente la sterile e immobile bellezza di costumi e ambienti a creare un’estetica che funzioni in un medium dinamico come il grande schermo.
Eppure Guillermo del Toro è uno che i film li sa fare, uno che sa tenere lo spettatore incollato allo schermo con un ritmo incalzante e un’estetica particolareggiata e avvolgente. E per la prima mezz’ora di Crimson Peak, tutto ciò quasi gli era riuscito. Ciò che rimane, di minutaggio e sforzo creativo, è, però, solo un’occasione sprecata.

Mariaclaudia Carella

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