Il decimo episodio della serie TV di Sherlock è stato rilasciato al cinema in tutto il mondo ed in Italia questo 12 e 13 gennaio, oltre che mandato in onda su BBC lo scorso 1 gennaio.
Fiutando il successo maestoso che la quarta serie di Sherlock riceverà da pubblico e critica, quasi inevitabilmente, i suoi creatori hanno giocato d’anticipo, con spirito di marketing e, contando sul fanatismo scatenato dal fenomeno hanno fatto uscire il “mini film” – L’abominevole sposa – nelle sale cinematografiche.
Se vi aspettavate che questo episodio fosse solo un espediente pubblicitario o puro fan service, sarete rimasti delusi, perché è certamente molto più di questo e, al contempo, riesce anche a essere la miglior pubblicità possibile per la prossima stagione.
Perdonateci il gioco di parole, ma lo “Speciale di Capodanno” di Sherlock ha davvero qualcosa di speciale; l’episodio di un’ora e mezza riesce, infatti, a fare qualcosa di grandioso: è allo stesso tempo la continuazione della serie, il suo reboot/rinascita in chiave vittoriana e un filler.
Ambientato in una realtà alternativa, quella vittoriana appunto, lo speciale rilancia lo Sherlock televisivo in una maniera molto più fedele al libro, citando i primi passaggi dell’opera di Sir Arthur Conan Doyle quasi letteralmente.
Questo è, quindi, uno Sherlock che è tornato alle origini, per molti aspetti più vicino che mai al suo alter ego cartaceo, a partire dall’ambientazione fine ottocentesca, ovviamente, ma anche nella maniera in cui John diventa l’inconfondibile Watson, fino a quella chicca che è il Mycroft corpulento che i fan delle storie di Doyle non si saranno lasciati sfuggire.
Lo Speciale è anche però la continuazione della serie perché si propone di spiegare il cliffhanger con il quale si era conclusa la terza stagione: il ritorno, impossibile di Moriarty dal regno dei morti. Per assolvere a questo compito, gli sceneggiatori Moffat e Gatiss scomodano un caso insoluto dello Sherlock di Doyle (menzionato in The Adventure of the Musgrave Ritual), quello della vedova Ricoletti, anche lei suicidatasi con un colpo di pistola e poi ritornata in vita, apparentemente, solo per uccidere il marito.
Il fondersi di questo vecchio mistero con quello di Moriarty ha, da solo, scatenato una risposta enorme degli appassionati che si sono subito adoperati nell’elaborare svariate fan theories, che si rincorrono su internet, interrogandosi su quale parte dell’avventura onirica vissuta da Sherlock ne l’abominevole sposa sia in continuity e quale no.
Provare a mettere in ordine tutti i tasselli dell’ultimo caso sherlockiano non è però fondamentale al godimento dell’episodio stesso. La puntata, infatti, più che incentrata su un avanzamento della trama e sulla spiegazione del(l’inspiegato) ritorno di Moriarty, si focalizza sul personaggio di Sherlock e, come il suo protagonista, ha come cifra fondante la vanità.
Ci spieghiamo; nel suo essere tutto forma e poca sostanza, questo Speciale è, fondamentalmente, un filler. Usando lo stratagemma stilistico del sogno, Moffat e Gatiss, creano un intermezzo piacevole, ma inconcludente, per i fan della serie che aspettano da oltre 2 anni il progredire della trama nell’attesissima quarta stagione.
La chiave privilegiata con cui guardare allo Sherlock vittoriano è, quindi, nella forma di una pomposa presentazione della stagione che verrà, un piacevole preludio, un riempimento (filler, appunto, per gli anglofoni), un passatempo che, nella forma, richiama il teatro.
La teatralità nello Sherlock di Moffat e Gatiss non è cosa nuova ma, L’abominevole sposa in particolare è teatrale in una maniera che mette le performance individuali, lo stile della narrazione e l’atmosfera al di sopra della mera trama.
È, infatti, nel suo vanesio esercizio di stile che questo ultimo capitolo di Sherlock trova la sua più alta ragione d’essere. In un episodio dal tono lirico e introspettivo, la parlantina di Benedict Cumberbatch è ben rodata e, probabilmente, la più alta personificazione di Sherlock, la “regina del dramma” per eccellenza. In questa atmosfera, la storia procede tra gli alti e bassi della commedia e del dramma, la scrittura impeccabile e incalzante, le battute a effetto che fanno da contraltare ai dialoghi brillanti.
Infine, la narrazione, anche se non priva di difetti e fondamentalmente non evolutiva, permette allo spettatore, con questi espedienti di forma, di soprassedere sulla quantità ridicolmente alta di pretenziosi, boriosi momenti autocelebrativi e applaudire lo spettacolo che è Sherlock.
Come ricorda Sherlock stesso nell’episodio, quando il caso comincia, “il palcoscenico è pronto, si apre il sipario e tutto è pronto per cominciare“. A noi, come a lui, non resta che ammirare quello che è definito e autodefinitosi “eccellente – superbo teatro“.
Mariaclaudia Carella